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Liceo Ginnasio Statale "G. Cevolani"
(ex) Via Guercino - Cento (FE)


Anni: 1974-1979

O dulces comitum valete coetus,
longe quos simul a domo profectos
diversae varie viae reportant.

- Catullus, XLVI -

Classe IV  A

1974: Classe IV Ginnasio
casa Pilati







Vi riconoscete? Noo?
Troppo piccoli, infatti!

Allora, date un'occhiata qui: Luca Melloni Roberto Valentini Fabio Magri Giovanni Tartarini Giorgio Allegri Silva Fantoni prof. Rosanna Bargnesi Antonietta Cristofori Silvia Gabrielli Anna Gallerani Daniela Simoncini Elena Serra Adima Lamborghini Letizia Fioravanti Angela Pellacani Gabriella Masetti Manuela Maccaferri Carla Bagni

1976: Classe I A in cortile
Puntate il mouse sui volti dei ragazzi per ottenerne i nomi






C’è ancora tempo



Vorrei non rivedermi in queste foto ingiallite, mi fa tanto male. Un paio di nuove rughe accentuano l’arcata della fronte mentre ripongo l’album nel cassetto. Già, e penso proprio che resterà lì per un altro trentennio. C’è ancora tempo, in fondo. Non dovrei lamentarmi: sono ancora pieno di energie e con tanta voglia di spaccare il mondo.

Sono semmai loro, i ricordi, a rovinarmi l’esistenza; lavorano dentro, continuano a rovistare sotto la pelle e ancora adesso possono provocarmi batticuore nell’ascoltare canzoni. Guccini, Venditti, De Andrè e perfino Claudio Chieffo… una suadente lagna di chitarra accompagna le nostalgie del nostro Liceo in quei magnifici anni ‘70.


Avrei voluto essere una banda

Ma a nulla giova sprangare un cassetto quando è ormai il pensiero che ti conduce a quei giorni di passione e di miti ritenuti imperituri: l’omicidio Moro, i vuoti di governo, l’inflazione al ventidue percento, ma anche le elezioni del primo parlamento europeo, il nostro Presidente partigiano e socialista che, per la prima volta dall’immediato dopoguerra, affida il mandato di consultazioni a un altro socialista. Il mondo ribolle, pronto ad accoglierci nel suo marasma. Evvvvaaaaiii!!

Il piede scalpita, ma ci manca l’ultima prova. Il tema di maturità, così atteso, così temuto e sognato come un incubo, con quella frase del Goya da commentare, “Il sonno della ragione genera mostri.” Oddio! Eppoi, “Quam gravis, quam magnifica, quam constans conficitur persona sapientis”, sentenzia un sibillino Cicerone nella versione del giorno dopo. L’ultima, per la maggior parte di noi. Dopodiché, lentamente, la voglia di spaccare il mondo svanisce assieme alla nostra freschezza, ormai catturati da nuove, ben più accomodanti chimere.

Ci restano i ricordi, ad accomunarci, a farci male, o forse bene. E oggi sfoderiamo un sorriso imbarazzato per confessare che non siamo riusciti a spaccare un bell’accidente di niente. E adesso è tutto più difficile, maledettamente difficile.

Ma c’è tempo. C’è ancora tanto tempo, in fondo.

cortile liceo oggi
Il cortile dell'ex Liceo nell'anno 2005

Ehi!
Come vi aspettate che sia, oggi, la nostra vecchia classe ginnasiale?

Ecco, com'è:

Classe IV e V A
Incursione notturna nell'antica IV e V A
con complici.
(Settembre 2006)
Qui sorgeva l'augusta cattedra
della Pioppi e della Bargnesi



a sinistra della cattedra
IV e V A.
Il lato sinistro della (fu) cattedra...
(per noi scolaretti: a destra)




Eppoi...
... sapevate che dietro la cattedra dell'aula di lingue ci fosse una porticina nascosta?
Portava a questa loggia sopraelevata, che si affaccia sul giardino:

Loggia nascosta
Una... loggia segreta,
scoperta nel tardo 2006







Ma torniamo a quei tempi...





Liceo, 1976

1976: Classe I A






Ancora la I A
1976: Classe I A
che bello, far casino!





1978, seconda Liceo

1978: Classe II A con il prof. Gilberto Tagliati (secondo in basso, da sinistra)






La foto qui sopra è stata pubblicata nell'Annuario del Liceo 2005-2006,
un prezioso libretto di 200 pagine in cui si ripercorre l'intera storia del nostro Istituto.
Annuario Liceo Classico 2005-2006
Fai click sulla copertina per leggere il breve testo (circa 3 MB) che riguarda la nostra generazione, a pagina 71.





E ancora:

Casa Bovinelli

1978: Classe II A in relax
Casa Bovinelli, Cento






Ugo Montanari

1978: Prof. Ugo Montanari, futuro Preside del Liceo e delle Magistrali







A casa di Letizia Fioravanti
A casa di Letizia Fioravanti? Quanto eravamo affamati!

Gradara, 17 Marzo 1977
Gita a Gradara, 17 marzo 1977
Quanto eravamo freschi!

II a in maschera, casa Pilati
II A in maschera a casa Pilati
Quanto eravamo buffi!



collage II A
Un collage della II A
(Si ringrazia Luca Melloni per le foto)

III A in classe
III A in classe


Terza Liceo, 1979

1979: Classe III A
Elena Serra, Marco Pilati e Gabriella Masetti alla cena di fine corso






Chiari
1979: Classe III A
Prof. Mariagrazia Chiari






Prof Mazzanti
1979: Classe III A
Il prof. Mazzanti ci guarda
[insegnava ginnastica, vi ricordate?]






Monica e Arbizzani
1979: Classe III A
Una trasognata prof. Magda Arbizzani (l'alchimista delle 44 ammine) di fronte a Monica Busi






Omero Soffritti
1979: Prof. Omero Soffritti, il Preside
il saluto del Liceo all'illustre pensionando che se ne va... inforcando il nostro regalo
(sì, avete visto bene: questa immagine è ripresa in copertina dell'Annuario 2005-2006 del Liceo)






Il giorno della maturità
I giorni della maturità




Monica e Gabri
Gabriella Masetti e Monica Busi
L'allegro (s)ballo dopo gli esami






Si ringraziano per aver attraversato la mia vita:

Carla Bagni, Monica Busi, Manuela Maccaferri, Gabriella Masetti, Angela Pellacani, Letizia Fioravanti, Letizia Bovinelli, Elena Serra, Adima Lamborghini, Daniela Simoncini, Anna Gallerani, Silvia Gabrielli, Antonietta Cristofori, Silva Fantoni, Giorgio Allegri, Giovanni Tartarini, Fabio Magri, Roberto Valentini, Luca Melloni, Alberto Bauer, Marco Zamai.

Vostro:
Amadio Marco Pilati





Un gioioso ricordo alla più amata e temuta delle nostre insegnanti: l'unica e inimitabile

Rosanna Bargnesi ('Barni')



Riccione, 31 Agosto 1980: Nadia e Rosanna Bargnesi con Marco Pilati





Rosanna Bargnesi
Ottobre 2008 Uno sguardo dal passato: Rosanna Bargnesi è tornata!
Clicca sulla foto dei suoi occhi per visionare l'album fotografico dell'indimenticabile Bargnesi Day







Liana Zanasi Si ringraziano di essere esistite:

le adorate Monica Busi ed Elena Serra, e le compiante professoresse: Liana Zanasi Tassinari e Vanda Pioppi Lenzi.

Liana Zanasi
Liana Zanasi
La mia primissima prof. di Fisica.
Grazie, bella signora!




Vanda Pioppi in Lenzi






Elena Serra negli anni del Liceo
Elena Serra
1960-2007



Queste note ci parlano di te

ad Elena
La tua frase di Don Giussani:
Il Signore ci ha scelti, ci ha perdonati, ci ha abbracciati
e riabbracciati







Dove siete finiti, ragazzi?






Alla Home Page di A. Marco Pilati









Aggiornamento trentennale


Liceali superstiti, anno 2005... ehi, ci hai cercati? Eccoci qui!

Sì, certo, vi avevo cercati.
Ma... vi ricordate di Monica?


A Monica

- La prima di noi a partire -


liberamente tratto da un romanzo pubblicato di Marco Pilati
copywright 2004

Isole distanti, separate dalle onde del mare profondo, su cui pare sia difficile approdare. Oppure, sassolini bianchi dispersi in una grande piana di sabbia scura: ecco chi o che cosa siamo.
Pietruzze che ammiccano alla luce di un solo giorno, ciottoli separati da amalgami ricoprenti di segreti, sogni e fantasie, come quella di unire i nostri pensieri in un unico, improbabile abbraccio collettivo a dispetto di ogni lontananza e di ogni umana diversità. Ma un miracolo del genere accade una volta su mille milioni, quando cioè, dice la leggenda, una stella esprime il desiderio di incontrarne un’altra sul proprio cammino...
Capita raramente, eppure capita.

Nella maggior parte dei casi, invece, il vento e la pioggia smuovono la sabbia con sgarbo incessante, e così ci si ritrova alla fine sempre più emarginati, distanti e sconsolati.

Siamo sassolini bianchi che annaspano nella renella. Ci sfioriamo giusto il tempo di un sorriso, prima di perderci per sempre.


e qualcosa rimane...


uando si lisciava i capelli allo specchio, ogni sera, Monica rideva amaro al pensiero che si sarebbe dovuta diplomare e che, un giorno o l’altro, sarebbe diventata anch’essa una di quelle signorine decrepite dal crine azzurrino, ancora fiduciose nei miracoli del parrucchiere. Monica, che sarebbe vissuta troppo poco per soffrire così tanto, indulgeva spesso in tali dolci errori. Ancora non sapeva che sarebbe stata lei, proprio lei, la prima di noi a dover partire.

La sua vita precipitò allorché, un qualunquissimo giorno di un qualunquissimo anno, iniziò a tormentare il mondo con l’assurda odissea della sirena.
Era come se il suo senso di diversità si fosse trasformato in un suono martellante nei timpani e nel cervello, un suono lungo e penetrante come quello della sirena dei pompieri, per l’appunto, o piuttosto il singhiozzo spaventato di un'ambulanza o magari il lamento minaccioso della polizia. Ed ovviamente, lei era la sola a sentirlo.
Forte o debole che fosse, non aveva importanza; il fatto è che quel fischio roboante le ronzava ad intermittenza negli orecchi, impedendole il normale flusso dei pensieri e dei discorsi. Nessuno, nemmeno il parente medico, era riuscito a farsi una ragione di quella strana sirena immaginaria. Qualcuno avrà pensato che fosse il baccano della discoteca a generare in lei quelle terribili allucinazioni acustiche, e che forse il mondo era migliore quando le ragazze se ne stavano in casa a cucire, in silenzio. Grazie al cielo, i dottori la lasciarono in pace assai presto senza torturarla oltre e, naturalmente, senza toglierle quel maledetto frastuono dalla testa.

MonicaMonica non si era rassegnata all’idea di essere sull’orlo dell'esaurimento. No, lei era sicurissima che prima o poi qualcuno le avrebbe confessato che si trattava di uno scherzo e che tutto il mondo era perseguitato, in realtà, da un universale pianto dei pompieri. Poteva chiedere fino a cento volte al giorno alla mamma, alla sorella, alla cugina, al giornalaio o a un passante, se sentissero qualche cosa anche loro, in lontananza, ma era tutto inutile, tanto che alle sue domande, ormai, non rispondeva più nessuno. Tuttavia lei seguitava a chiedere, persisteva con la tecnica della disperazione a cercare in superficie un altro sassolino bianco che sentisse ciò che avvertiva lei. Che fosse, insomma, un po’ speciale come era lei.

Mentre ingurgitava marmellata, un panino al salame e torta di mele per poi alzarsi in fretta e andare a vomitare, tossendo a pugni stretti, Monica pensava che in fondo era buffo sentirsi tanto diversa dagli altri, quando tutti le lanciavano giudizi mascherati da consigli o la tranquillizzavano dicendo che andava bene così, che si stava sbagliando, che in realtà non aveva niente.
Il giorno che forse migliorò leggermente la situazione, nulla faceva presagire che qualcosa di straordinario stava invece per accadere. Sempre con la sirena nelle orecchie che nemmeno le liriche di Omero riuscivano ad assopire, in una biblioteca del liceo vuota come da copione – poiché, nei momenti dell’intervallo, gli studenti preferiscono vivere la vita piuttosto che leggerla sui libri – lei era lì, assorta, quando un ragazzino magro dall’aria sognante, con il ciuffo biondo a coprirgli interamente la fronte, apparve tra gli scaffali impolverati con l’aria di chi cercasse qualcosa senza avere nulla di preciso da trovare. Monica gli rivolse, semplicemente secondo un istinto naturale, la sua solita domanda:

“Scusa, per caso non senti anche tu, in lontananza, il fischio di una sirena?”

Lui, con calma, mise un dito tra le pagine di un libro per non perdere il segno. Soffiò sul ciuffo nel vano tentativo di ottenere il massimo del campo visivo, volse gli occhi affaticati su quella donnina dalle gote di bimba per poi modulare un dolentissimo:

“Come, scusa?”


Monica Busi Lei cominciò a perdere le speranze e a credere di essersi sbagliata ancora una volta: forse nemmeno quel ragazzino sconosciuto, dall’aria speciale solo in apparenza, aveva risposte per i suoi ridicoli interrogativi. Magari non aveva neppure voglia di starli ad ascoltare, quel bambolotto leccato dalle movenze isteriche tale e quale a un bimbetto preparato dalla mamma per andare a messa. Nemmeno lui l’avrebbe ascoltata, così come tutti gli altri, del resto…
Sfiduciata, la fanciulla pensò che la domanda, nonostante tutto, si potesse riformulare, una volta più, una volta meno. Puntò allora l’indice della mano destra al soffitto: era un dito bianco, snodato, signorile e affusolato, un indice che poteva incutere la soggezione di un dito di prof. quando scorre i nomi del registro, prima di interrogare. L’unghia era laccata di un colore lilla sgargiante e non stonava affatto nel contesto dell’eleganza un po’ eccentrica di quella cocorita.

“Ti chiedevo se per caso tu non udissi il rumore di una sirena in lontananza…”, sospirò portandosi il tremendo indice all’orecchio.

Fu a quel punto che la ragazza credette di sognare, ma di sognare davvero, poiché lui piegò le labbra in un sorriso dolcissimo e rispose che aveva già capito la domanda e che, per l’appunto, voleva sapere come fosse quel fischio di sirena: un lungo, interminabile ululato da pompieri? O piuttosto il singhiozzo spaventato di un’ambulanza? O magari il lamento minaccioso della polizia? Insomma, come diavolo era quel suono?

"Ti va di raccontarmelo?" aggiunse sedendosi accanto a lei.

Per Monica era incontrare un paio di orecchie umane.


La Bohème, primo atto



Di lì a ritrovarsi ad ogni intervallo per sfogliare assieme le poesie dei classici, il passo fu breve. Divenne uno dei tanti straordinari atti d’amore, amore così come loro lo concepivano, mettere in comune un quarto d’ora al giorno delle proprie esistenze sottraendole a un mondo immeritevole, e ciò senza essersi ancora rivelati i nomi. Lei era semplicemente la signorina Sirena mentre lui sarebbe per sempre rimasto il signor Ciuffolotto.

Se ne stavano rinchiusi nella biblioteca, pigri, dove il silenzio ristagnava anch’esso pigro come aria in una bolla di sapone, un silenzio disturbato semmai da quell’incessante suono che solo Monica poteva avvertire nelle orecchie e che il ragazzo, per magia, cominciò a percepire dritto al cuore.

“E oggi a chi tocca, mia bellissima Sirena?”

“Oggi tocca a Sofocle: ti presento il Filottete, amabile signor Ciuffolotto. Ascoltami.
E soprattutto guardami:

Filottete "Ahimè, che dolore acuto. Ti supplico, se hai la spada sottomano,
colpiscimi sul piede malato, spuntalo, tagliamelo,
falciamelo via di netto.
Non temere per la mia vita, se davvero mi ami.
Più non sopporto.
Ti prego, fai presto, se mi ami davvero ..."

Erano pesche al termine della stagione calda le guance di Monica che, nell’accalorarsi, viravano al rosso man mano che leggeva. La dolce sensazione di smarrimento che stava provando le si dipingeva sul volto e le ammorbidiva i lineamenti, bellissimi. Intrappolata nei suoi sogni, spiccava ad ogni attimo un volo più azzardato del precedente.
Rigide, si rattrappivano invece le mani della fanciulla al pensiero di un male oscuro e di un improbabile protettore armato di spada, sempre presente, sempre lì pronto a intervenire.
Ciuffolotto era come ipnotizzato dai movimenti regolari e netti di due labbra mantenute morbide pur scandendo parole così asciutte. Una nuvola di scintille sì levò allora dalle pagine consumate mentre, con un tonfo secco, si richiudevano. Come tante piccole lune di una galassia, i granelli di polvere crearono un’ascendente colonna rettangolare, gialla di sole, tra il tavolo e una finestrella sbilenca, ricavata pochi palmi sopra gli scaffali.

“Ehi, va tutto bene, signorina?”, chiese lui non appena gli occhi gli si furono assuefatti a quell’incantesimo.

Maschera “Forse va bene, forse va male. Credo di non saperlo. Io sono così... confusa. Vorrei essere bambina, vorrei esser vecchina, vorrei volare libera tra i miei pensieri, vorrei non avere piedi né mani, né occhi né orecchi, né cervello, né cuore né anima. Cotidie morimur, e Sirena sarà la più veloce. Ma non m’importa nulla: io non voglio il futuro, io vorrei soltanto... sparire.”

Già, Sparire. Dissolversi come un boero, disintegrarsi in scintille tra le particelle d’aria... Eh, no che non andava bene, per Monica. Nessun ardimentoso ebbe il coraggio di tagliarle via di netto quel dolore insopportabile della mente, così acuto e devastante. Entro pochi anni, il nostro angelo avrebbe visto calare la notte sul dolce figurino, sul viso delicato dai lineamenti deliziosi, soavi come il profilo di una colomba che si staglia contro un cielo abbagliante di porpora.
Ma, peggio ancora, gli occhi avrebbero cominciato a fissare il nulla. La mente immota, senza più coscienza, senza più amore, sarebbe stata lentamente sottratta alla vita, alla sua vita e alla nostra vita, mentre un'agonia progressiva rapiva di freddo il suo cuore, morto esso stesso tra le mani gelate di un'inutile, illusoria speranza.

[...]

Prima di porre fine alla sua paurosa malattia, uccidendosi, Monica era fuggita a Londra dove, un mattino, fu ritrovata in un parco, vegliata dagli occhi della notte per pietà o forse perché invidiosi della sua bellezza.
Era una piovosa giornata di un autunno poco lusinghiero, una di quelle albe in cui gli usignoli si destano tardi, una delle ultime pagine bianche che la piccola Sirena avrebbe scarabocchiato nell’album di un’esistenza sfuggitale di mano. Si chiese cosa stesse facendo, lì da sola, in quel bosco spaventoso e lontano. Svegliandosi da uno dei mille incubi che le toccò in sorte di sognare, il primo pensiero corse a Ciuffolotto, che subito ne avvertì la famiglia. Il conseguente gemito della sua mamma al telefono coll’Ambasciata Italiana: "...trattenetela, vi prego! la mia bambina non sta bene”, sarebbe rimbombato nella testa dell’amico in pena come il monito sulla fragilità delle condizioni umane. Quelle degli altri e quelle di Monica. Le sue.
Quanto pianse, il ragazzo, nel trovarsi quelle parole di mite disperazione conficcate nei timpani come un dardo che sfilaccia il suo bersaglio.
Al diavolo, bellezza; al diavolo dolcezza, cultura, intelligenza e bontà: a che mai serviste se la bambina non è stata bene, quaggiù? Nessuna pozione, per quanto preparata con le mani più amorevoli del mondo, avrebbe giovato al malessere di Monica da quando la sua mente cominciò a frantumarsi in neve fresca. Avrà dunque pensato a lui mentre una fune spezzava il flusso dei suoi ultimi pensieri? Avrà avuto paura, quella bimba disobbediente, prima di smorzare l’odioso ululato della sirena?
Orfano di quel suono fraterno nel cuore, cui si era ossessivamente abituato, Ciuffolotto si illudeva di no, poiché la morte lei l’aveva già immaginata mille altre volte, tanto che la sua mente stanca l’avrà confusa con le cose già vissute.

Monica Busi


La Bohème, ultimo atto

Monica gli aveva spesso raccontato com’era strana la sua stanza, con gli scaffali sofferenti per il peso dei ricordi di una vita inutile, di cianfrusaglie come la bambola senza una mano, l’ippopotamo viola dallo sguardo triste, il libro di grammatica greca ben incartato, il suo ritratto dalle gote rosee di bambina appeso al muro e i pennarelli sparsi sulla mensola da anni, ormai scarichi dopo un’interminabile pioggia di colori...

Ma perché, improvvisamente, quelle immersioni in memorie nostalgiche? Meglio uscire a rischiararsi le idee, e poco importava se erano le quattro di mattina e fuori faceva un freddo cane.

“Mamma, scusami ma non posso dormire! Mamma, il mio male è insopportabile. Mamma, vorrei uscire, vorrei proprio andarmene di qui...”

Pieve di Cento Notti insonni sull’argine del fiume sonnolento, la chioccia e il suo pulcino sofferente del male di vivere, a vagare l’una di fianco all’altro, armata di spada la prima e cogli occhi gonfi e poca voglia di pensare il secondo, entrambi custoditi dal silenzio della radura di salici ove, alla lontana, spiccava il campanile del paese sospeso nella luce, le fondamenta gettate nell’oscurità.
E quante stelle avranno contate di lì all’alba, madre e figlia, intente a varcare il Ponte Nuovo all’andata e il Ponte Vecchio al ritorno, mentre l’intero villaggio dormiva? Luminose lanterne si accendevano al passaggio dell'innocenza, mentre mille domande inattese salivano al cielo: Dio giustissimo di quest'universo iniquo e piccino, ma...

...ma perché?




na sera di quindici anni fa, in un piccolo cimitero dove crisantemi e crochi restano a lungo boccioli tristi e grigi, Ciuffolotto si asciugava il naso pensando a quanto fossero bizzarri i desideri delle stelle, quelli di cui narra la leggenda.
E pensava pure che era ingiusto che le poche pietruzze bianche riuscissero a sfiorarsi per un solo attimo, prima di affondare nella sabbia.
Col dorso adagiato a una vecchia croce, lo sguardo sperduto e i timpani del cuore ormai inerti, scavava solchi sulle guance sue algide, illuminate da una luna accesa per pochi istanti ancora.
Lì, come un annegato, Ciuffolotto sprofondava in una ritrovata solitudine dacché Sirena era tornata ad essere spuma-di-mare. E mentre il vento di fine ottobre seccava foglie e grumi agli occhi, così simili alle piccole gemme morenti su quei cespugli, la sua pelle aveva un disperato bisogno di accapponarsi.

Fu così che la più frettolosa dei liceali del se ne andò senza donarci la consolazione di un addio.
Attraverso le onde del salso mare, sappiamo che giunse alfine all'isola - bellissima - degli Dei. E noi, rimasti a riva, guardiamo ancora laggiù e il nostro pianto non è sommesso, poiché troppo rumore filtra dal mondo, e altro ancora ne filtrerà...

... e sarà per sempre...

e la reazione al dolore non potrà che essere musica e voce...

un suono interminabile come l'ululato dei pompieri,

o il singhiozzo spaventato di un’ambulanza...

un grido vivo e martellante come il pianto

- dolcissimo -

di una sirena.

rose per Miss Sirena

Quindici anni dopo
Ciuffolotto
Marco Pilati
ti ricorda così